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Scarymad: il racconto di Halloween.

Testi: davide.pellegrino | Illustrazioni: martina.acetti

Giocondo era un cane esuberante che s’infilava sempre in qualche anfratto per stanare lepri o altre piccole bestie. Doveva aver qualcosa del segugio, era un cercatore nato, sempre col muso a terra in cerca d’odori nuovi. Mentre scorrazzava qua e là per i sentieri e le brughiere, ogni tanto s’arrestava per sbuffare sonoramente, poi di nuovo giù con la testa e su con la coda.

Mastro Augusto invece, il suo padrone, era un uomo stanco e solo, la cui vitalità iniziava a lasciar spazio ad una certa pigrizia. Da quando la sua Amelia era scomparsa poi, il suo entusiasmo era svanito del tutto, e Giocondo era l’unica presenza che gli desse conforto, anche se, visto che la bestia se ne andava per i campi, le loro erano per lo più passeggiate solitarie. Mentre mastro Augusto camminava lentamente con le mani dietro la schiena, Giocondo andava su e giù per le brughiere, spesso da solo arrivava fino al porto o alla scogliera, e dove cominciava l’oceano lui si arrestava, mostrandosi però indifferente di fronte a quell’orizzonte, come se non gli turbasse l’anima.

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Tra i villaggi della pianura mastro Augusto s’era guadagnato la fama di “aggiustatutto”, era conosciuto da tutti e di giorno era spesso indaffarato a rattoppare lampare, tinteggiare muri e aggiustare vecchie radio. Mentre svolgeva quei lavori a volte i suoi pensieri andavano alla sua Amelia, allora qualsiasi fosse il suo impegno in quel momento, per qualche istante si fermava e guardava nel vuoto, come per cercarla dentro di sé.

A Borgo Precipizio, il suo villaggio, da un po’ di tempo gli abitanti erano impauriti e diffidenti, e quando arrivava sera e le nebbie s’affacciavano maligne e curiose per le vie del borgo, tutti s’affrettavano a serrare gli scuri e spegnere le lampade. Era per via delle sparizioni che si comportavano così, c’era paura d’esser rapiti o chissà cosa c’è di peggio.

Era così che se n’era andata la sua Amelia: mastro Augusto l’aveva salutata la mattina per andare alla taverna ad affilare coltelli, era rientrato che stava facendo buio, e quando aveva aperto la porta e non aveva sentito i profumi della cucina di Amelia, aveva capito subito che qualcosa non andava. Per mesi l’aveva cercata in lungo e in largo per tutta la pianura, bussando ad ogni porta di ogni singolo villaggio, ma nessuno l’aveva vista. Tutti gli dicevano di smettere di uscire di sera tardi con quello stupido cane, di chiudersi in casa e aspettare mattina se non voleva rischiare di sparire anche lui, ma a mastro Augusto non importava d’esser rapito. Da quando la sua Amelia era scomparsa non gli importava di nulla, e pensava che se avessero preso anche lui magari si sarebbero potuti incontrare di nuovo.

Quella sera di fine ottobre l’oceano spingeva sulla pianura un vento umido, che trascinava nebbie sottili sopra le nere campagne. S’udivano le onde infrangersi contro le scogliere, e giù al porto le vecchie lampare s’agitavano in acqua come naufraghi esausti.

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Mastro Augusto e Giocondo se ne andavano per la mulattiera che da Borgo Precipizio portava alle campagne. Avevano lasciato casa che già era buio, nel sinistro e surreale silenzio che soffiava tra i vicoli quando arrivava la sera. Gli scuri delle altre case erano già stati serrati e il borgo si preparava ad un’altra notte di paura.

Giocondo usciva dal sentiero rapidamente, si tuffava nell’erba alta e nera che si agitava al suo passaggio che a guardarla sembrava animata da uno spiritello. Il mastro invece se ne andava lento per la mulattiera, stretto nel cappotto. Con lo sguardo sondava l’oscurità della pianura senza riuscire a distinguere il nero dei campi da quello del mare.

Le nebbie, sospese in aria come umide ragnatele, sfioravano l’erba e nascondevano le caviglie del mastro di cui ora si vedeva soltanto il cappotto volteggiare sul sentiero. Pareva un fantasma.

D’un tratto il mastro si accorse di non riuscire più a scorgere Giocondo, così per ritrovarlo iniziò a sondare con attenzione la campagna tutt’attorno. La bestia era scomparsa e il mastro cominciò a chiamarla con lunghi fischi, poi affrettò il passo e percorse qualche metro camminando all’indietro, per esser certo di non essersela lasciata alle spalle, ma Giocondo non era nemmeno lì.

Che avesse preso il sentiero che portava al vecchio faro?

Così il mastro, che iniziava ad esser preoccupato per il suo cane, abbandonò il suo sentiero e prese quello che portava al faro. Raramente i due si spingevano così lontano, e certo non di notte. Ora Augusto iniziava a sentirsi inquieto e il suo modo di camminare lento e disteso, s’era fatto teso e circospetto.

La luna non c’era e la foschia velava il cielo che pareva non poter mostrare alcuna stella. L’unica luce era quella del faro che prima sondava l’oceano, poi passava rapida come una lama sugli occhi del mastro. Pareva non fosse lì per la gente del mare, ma per lui, per il suo cammino irrequieto.

D’un tratto il mastro ebbe un sussulto: un breve guaito gli era giunto da ponente. Così lasciò il sentiero e s’incamminò tra l’erba nera, alzando di molto i passi per non inzuppare gli stivali. Inseguiva la traccia sonora lasciata da quel guaito, che gli aveva suggerito la direzione in cui cercare. Per un attimo pensò che fosse buffo ad essere lui a dover seguire le tracce d’un segugio.

L’erba finì all’improvviso e Augusto si trovò su un sentiero che non conosceva. Poggiò i piedi sulla terra umida e sbatté i talloni per liberarli dalla brina, poi si guardò intorno e nel silenzio tese le orecchie. Di nuovo quel verso di paura gli arrivò da ponente: Giocondo era vicino.

La nebbia s’era infittita e il mastro reggeva la visiera della coppola con una mano, come per aiutarsi a scrutare nell’oscurità.

All’improvviso la luce del faro tagliò la notte e per un brevissimo istante illuminò qualcosa che Augusto non aveva mai visto: un grande cancello arrugginito che se ne stava silenzioso in mezzo a quei campi remoti. Il mastro si avvicinò perché era da lì che proveniva la voce di Giocondo.

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Afferrò il cancello con tutt’e due le mani e avvicinò il viso ai tubi arrugginiti per guardare meglio. Tra la nebbia il mastro riuscì ad intravedere luride baracche con bambole di pezza e pupazzi dal pelo lercio, e più in fondo una ruota panoramica vecchia e arrugginita. Le sue cabine ciondolavano al vento lasciando che un sinistro stridio metallico si propagasse nella notte.

Non conosceva quel posto ma negli ultimi tempi aveva sentito i mocciosi di Borgo Precipizio parlarne sempre più spesso. Dicevano che era pericoloso avvicinarsi perché era lì che abitavano le creature malvagie che di notte andavano per i villaggi a rapire la gente.

Un pensiero riscaldò per un attimo le membra di Augusto: che oltre a Giocondo lì dentro avrebbe ritrovato anche la sua Amelia?

Così il mastro decise di entrare e spinse titubante il grande cancello che cigolò nella notte tingendogli il volto d’un terrore sconosciuto.

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