Le nostre riflessioni sul documentario di Alison Klayman disponibile su Netflix.
Oggi ti proponiamo la visione di White Hot, il documentario di Alison Klayman dedicato alla storia del brand americano Abercrombie & Fitch. Il documentario è disponibile su Netflix: dagli una possibilità, contiene diversi spunti di riflessione interessanti.
Hai mai fatto shopping in uno store Abercrombie?
Ambienti scuri, luci soffuse, il profumo dolciastro spruzzato sui vestiti, modelli a petto nudo e riferimenti alla wilderness e alla cultura dei college all’americana. Impossibile dimenticarsi di esserci stati! Dietro l’apparenza così singolare degli store però, Abercrombie & Fitch ha promosso per anni un modello di business esclusivo, razzista e maniacalmente legato all’idea di giovani corpi maschili dalla bellezza irraggiungibile.
White Hot: The rise & fall of Abercrombie & Fitch.
White Hot racconta, grazie alle voci di professionisti che hanno lavorato per Abercrombie, l’idea di business e le ossessioni di Mike Jeffries (CEO) e Bruce Weber (fotografo responsabile delle campagne di marketing). Il documentario di Alison Klayman ripercorre l’ascesa e il declino del brand sotto la guida di Jeffries, raccontando il razzismo, l’esclusività e la mercificazione dei corpi che hanno caratterizzato il business di Abercrombie per anni.
Come da tradizione Supermad ,non ci dilungheremo con la descrizione del documentario. Preferiamo infatti proporti alcune riflessioni che possono valere a prescindere dalla visione.
Le nostre considerazioni.
L’impatto culturale del fenomeno Abercrombie al quale abbiamo assistito in Italia non è minimamente paragonabile a quello che ha riguardato gli Stati Uniti. Il primo store italiano ha aperto a Milano nel 2009: in America il brand era un’istituzione già da molti anni. È chiaro dunque quanto la nostra percezione del fenomeno sia limitata.
Per comprenderlo meglio occorre fare un piccolo sforzo e provare ad immaginare quanto Abercrombie abbia influenzato la cultura americana. A partire dal 1992 infatti, grazie alla guida di Jeffries – tanto discutibile quanto vincente – Abercrombie & Fitch è diventato in pochi anni uno dei brand più esclusivi e desiderati d’America. I suoi capi d’abbigliamento erano tutt’altro che semplici vestiti. Erano veri e propri segni di appartenenza.
A cosa? Potremmo dire alla wilderness e alla gioventù all’americana, quella bianca, sportiva e benestante dei college.
La guida di Jeffries ha fatto deragliare il brand per diversi motivi, tutti ben descritti dal documentario. Potremmo riassumerli così: da un lato le class action mosse da clienti e dipendenti vittime di discriminazioni, dall’altro l’evoluzione della sensibilità riguardo l’inclusività, hanno costretto il brand a modificare la propria identità.
Ed è proprio su questo punto che vorremmo concludere.
La storia di Abercrombie & Fitch dimostra quanto abilmente i brand possano riciclarsi e cambiare identità, anche dopo essere stati esempi negativi per moltissime persone. L’impatto di Abercrombie sui giovani americani è stato violentissimo, eppure il brand continua a vendere tantissimo ancora oggi, dopo una profonda trasformazione della sua comunicazione, ovviamente. Oggi sul sito Abercrombie & Fitch compaiono modelli e modelle provenienti da tutto il mondo e con corporature differenti, a dimostrazione che il brand si è trasformato, diventando inclusivo. Questa mastodontico rebranding ci mostra il potere della comunicazione, il suo lato oscuro, quello che ci fa dimenticare la storia di compagnie che hanno danneggiato la collettività per molti anni.
Lo diciamo ancora una volta: la comunicazione dev’essere responsabile e sostenibile. Ci piace dunque immaginare un universo parallelo dove Abercrombie & Fitch, dopo aver ammesso le proprie responsabilità, abbia chiuso dignitosamente i battenti.