Scarymad 2022: Il nostro racconto di Halloween è tornato. Ecco a voi il primo dei 3 capitoli!
L’automobile si allontanò dal piazzale lasciando dietro di sé una nuvola di polvere che avvolse i corpicini di Dora e Armido.
Così se n’erano andati mamma e papà, salutandoli con la mano dal finestrino dopo averli affidati alle cure di zia Linda.
Il piazzale era spoglio e polveroso: c’era soltanto qualche vaso di pietra che ospitava gli steli rinsecchiti di vecchie piante, e una fontana rotonda in disuso da tempo sulla quale l’edera cresceva rigogliosa.
Zia Linda era vecchia e sola, non poteva più prendersi cura del suo giardino come una volta.
Una cornacchia osservava sorniona i due fratelli e improvvisamente aprì le ali come per minacciarli, mentre zia Linda li aspettava affacciata dietro i vetri opachi di una grande finestra al piano di sopra, invitandoli ad entrare con gesto tremante.
Era molto anziana, e ogni anno che passava faceva sempre più fatica ad affrontare la lunga scalinata che collegava i piani della casa. In effetti la villa di zia era gigantesca, circondata da campi di grano che si spingevano fino ai confini della pianura.
Dora e Armido avevano fatto visita alla vecchia zia soltanto poche volte in passato, sempre insieme a mamma e papà. Questa volta però era diverso.
Zio Osvaldo era morto da poco, così lei era rimasta tutta sola in quella grande casa di campagna.
Aveva bisogno di un po’ di compagnia, e chi poteva offrirle una compagnia migliore dei suoi due piccoli nipotini?
Da un po’ di tempo Armido aveva una brutta tosse, il signor Foster, il medico di famiglia, aveva consigliato per il piccolo una vacanza all’aria aperta, lontano dall’inquinamento della città.
Qualche giorno a casa di zia Linda sarebbe stato perfetto, avevano detto mamma e papà, anche se l’idea non piaceva affatto ad Armido, che durante tutto il viaggio in auto aveva tenuto il broncio e trattenuto a stento le lacrime.
Adesso se ne stava lì impalato su quel piazzale spoglio, guardando la macchina di mamma e papà allontanarsi inesorabilmente. Dora invece era felice, le piaceva fare lunghe corse nei campi, scorrazzare in giardino, e si preparava ad ingozzarsi con tutto il ben di Dio che zia Linda avrebbe cucinato per loro.
-Venite piccoli miei, venite a salutare la zia!-, così zia Linda chiamò i due piccoli dal piano di sopra non appena li vide entrare nel grande atrio d’ingresso.
Al piano terra c’era un immenso salone in disuso e diverse stanze che vi si affacciavano, anch’esse perlopiù dismesse e polverose, ed una scala alta e tortuosa che portava al piano di sopra, dove zia Linda li stava aspettando.
-La zia non riesce più a fare le scale come un tempo-, aggiunse la vecchia dall’alto con voce tremante, -Non temete: troverete tutto ciò di cui avete bisogno al piano di sopra!-.
Con un balzo Dora iniziò a correre sulle scale piena di entusiasmo, mentre Armido, con gli occhi ancora gonfi di pianto, si incamminò lentamente colmo di rassegnazione e di inquietudine.
Presto venne la sera, e zia Linda, proprio come Dora immaginava, aveva preparato tantissime cose buone per lei e il suo piccolo fratello gemello.
Armido, infatti, era sempre stato il più piccolo, nonostante lui e Dora fossero nati a pochi minuti di distanza. Lei era intraprendente, coraggiosa e vispa; mentre lui era così timido e introverso.
Si accomodarono ad un grande tavolo posto nel centro di in un salone rettangolare, proprio di fronte alle fauci del camino, così ampie che avrebbero potuto inghiottire per intero i due fratelli. Nel camino ardevano silenziosamente alcuni ceppi di legna, al di sopra dei quali pendeva un paiolo di rame appeso con una catenella.
Le torte di zia erano le più buone del mondo, Dora se le ricordava bene, e resero più dolce la cena anche per Armido, che finalmente appariva meno teso, pur continuando a rimanere in silenzio. La zia non era più divertente come qualche anno prima: era più vecchia e sola adesso, anche Dora se n’era accorta. C’era qualcosa di strano in quella vecchia dal corpicino rinsecchito. Dopo la morte di zio Osvaldo non era più la stessa persona: provava ad essere gentile e premurosa, ma sembrava sforzarsi nel farlo, come se in cuor suo la presenza dei due piccini fosse più una seccatura che un piacere.
Fuori si era fatto buio, dalle grandi finestre non entrava più nemmeno la luce del crepuscolo, così zia Linda accese alcune lanterne appese alle pareti.
Mentre Dora sparecchiava la tavola, facendo avanti e indietro tra la cucina e il salone, zia Linda rimase seduta accanto ad Armido, cercando di conquistare la sua fiducia.
-La zia ti ha preparato una cosa tanto buona, che ti aiuterà a guarire da questa brutta tosse.-, disse la vecchia, voltandosi lentamente verso il paiolo appeso nel camino.
Con un mestolo di legno riempì un calice con quella strana brodaglia fumante, profumata di more di gelso e di miele. Armido afferrò il calice bollente con un po’ di esitazione e, dopo aver tossito ancora una volta, avvicinò il naso ai fumi della medicina. Il suo profumo era dolce e inebriante, e Armido, che non aveva ancora rivolto nemmeno una parola alla zia, lentamente iniziò a bere, soffiando sulla brodaglia per raffreddarla un poco.
Arrivò la notte e zia Linda mostrò ai due fratelli la loro stanza da letto: vi erano due lettini con lenzuola lisce e vellutate, rimboccate con cura sotto gli angoli. C’erano anche due coperte morbide, una grande finestra affacciata sul giardino e due comodini di legno sgangherati, sui quali vi erano due semplici lampade da notte. Appoggiato alla parete in fondo c’era un grande armadio di legno scuro, pieno di piccoli forellini.
Zia Linda chiuse la porta dietro di sé e i due fratelli rimasero da soli. Dora era elettrizzata, aveva voglia di giocare, di scoprire tutti i passaggi segreti di quella grande casa e correre a perdifiato tra i campi: non vedeva l’ora che arrivasse il mattino. Armido invece si sentiva stanco: i suoi occhi erano diventati piccoli piccoli, ancora leggermente gonfi per il pianto. Sbadigliava in continuazione, mentre Dora cercava ogni scusa per tenerlo sveglio e continuare a giocare, e in poco tempo si addormentò.
Nel cuore della notte si udivano rumori provenire dal piano di sotto: il pavimento di legno scricchiolava, la casa sembrava viva, e di tanto in tanto alcuni tonfi sinistri scuotevano l’oscurità.
Armido si svegliò col cuore in gola, proprio in seguito a uno di quei tonfi.
Gli scappava la pipì, non riusciva più a trattenerla; colpa della brodaglia che zia Linda gli aveva fatto bere prima di andare a letto? Provò a svegliare Dora per chiederle di accompagnarlo, ma lei non ne volle sapere, e continuò a dormire profondamente, voltandosi dall’altra parte.
Come riusciva a dormire con tutti quei rumori? Armido aprì lentamente la porta, portando con sé la lanterna per illuminare la strada. Non appena fuori dalla stanza sentì un rumore sordo e ripetuto provenire dalla scala, come di passi che correvano rapidi. Tremando di paura si avvicinò al corrimano di legno per guardare giù.
Zia Linda correva in cerchio nel grande atrio d’ingresso, tenendo un vecchio libro in una mano e una lanterna nell’altra: era come posseduta da un demone.
D’improvviso la vecchia alzò lo sguardo verso la scala, si era accorta di essere osservata.
Armido si nascose rapidamente, mentre il cuore gli batteva sempre più forte in gola.
Di nuovo quel rumore di passi rapidi sulla scala.
Come poteva quella vecchia rinsecchita, che pareva così lenta e stanca, correre così rapidamente?
Di nuovo quei tonfi, di nuovo quei passi, e in un istante la vecchia strega gli si parò davanti, con i suoi occhi gialli e malvagi. Allungò le dita verso il corpicino di Armido, che ormai era paralizzato dal terrore, e d’improvviso lo afferrò bruscamente.
Lo guardò a lungo negli occhi, Armido sentiva il suo alito caldo sul naso, poi, rapito da quello sguardo ipnotico, cadde in un sonno profondo.