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Più di 6.500 morti in soli dieci anni dall’inizio dei lavori.

Fino a pochi anni fa, Lusail era soltanto un villaggio, oggi invece è una città pianificata, un luogo che presto ospiterà circa mezzo milione di persone.

Si trova sulla costa orientale del Qatar, praticamente di fronte a Dubai.

Un luogo che fino a poco fa era praticamente deserto, oggi invece è brulicante di vita, in attesa di brillare agli occhi del mondo. Quando?

Il 18 dicembre 2022, giorno in cui l’Usail Iconic Stadium ospiterà più di 85.000 persone durante la finale dei mondiali di calcio 2022.

Lo stadio è in costruzione da quattro anni, mentre Lusail è lì già da prima, ma la spinta degli investimenti dovuti all’imminente svolgersi dei mondiali, ha catalizzato la crescita di tutta l’area in modo vertiginoso.

Lusail_city

Ma qual è il prezzo da pagare per costruire un’intera città e tutte le sue infrastrutture in così poco tempo?

Beh purtroppo, non si tratta soltanto di soldi.

Dieci anni fa in tutta l’area cominciavano i lavori per consentire a Lusail di espandersi per ospitare i mondiali di calcio.

Un’inchiesta del Guardian ha svelato la tragedia che da allora è cominciata, in atto ancora oggi.

Più di 6.500 morti sul lavoro in soli dieci anni.

Il numero si commenta da sé.

6.500 morti in dieci anni significa 650 morti ogni anno, più di cinquanta al mese, praticamente due morti al giorno.

Vi lasciamo il LINK all’articolo del Guardian, nel caso desiderasse approfondire.

Il Qatar ha potuto contare sulla presenza di migliaia di lavoratori dall’India, dal Pakistan, dal Nepal e dallo Sri Lanka; persone provenienti da contesti ancora più difficili, pronte a lavorare duramente per un salario bassissimo.

Moltissimi di loro hanno perso la vita per farlo.

Lusail_skyline

Non vogliamo scadere nella retorica, perciò non commenteremo oltre le vite di queste persone.

In questi giorni si stanno disputando le partite di qualificazione ai mondiali del Qatar 2022, e diverse squadre europee hanno mostrato la loro indignazione verso le condizioni di lavoro a Lusail, solidarizzando con le famiglie delle vittime, e lanciando flebili messaggi di protesta.

I giocatori di Norvegia e Germania hanno indossato maglie con la scritta Human Rights –diritti umani-, i giocatori danesi invece hanno sfoggiato magliette con la scritta Football Supports Change –il calcio sostiene il cambiamento-, e ancora i norvegesi, prima del match con il Gibilterra, hanno indossato una maglia su cui si leggeva questo slogan di protesta: Human rights on and off the pitch –diritti umani dentro e fuori dal campo-.

Insomma, piccoli gesti, che hanno certamente il loro peso e la loro dignità, ma che nulla possono di fronte ad una tragedia di queste proporzioni.

Secondo il giornale norvegese Verdens Gang, il 55% della popolazione desidera che la nazionale di calcio boicotti i mondiali in Qatar, ed il 20 giugno si riunirà una commissione straordinaria proprio per decidere se partecipare o meno ai mondiali, così come richiesto, oltre che dai cittadini, anche da moltissime squadre del Paese.

Questo, a nostro avviso, è il segnale di protesta più forte e importante arrivato finora.

Una protesta popolare, nata da un sentimento comune e maturata nella coscienza di molti.

Staremo a vedere cosa deciderà di fare la Norvegia, ma dubitiamo che altri paesi la seguano nel boicottaggio, anche se ce lo auguriamo.

Dobbiamo tener presente che la tragedia di Lusail è giunta alle nostre orecchie soltanto perché gli interessi e l’attenzione su quel luogo oggi sono globali, ma non dobbiamo dimenticare che tragedie simili avvengono ogni giorno in ogni angolo del mondo, spesso in luoghi invisibili, che difficilmente hanno voce a sufficienza perché le loro storie arrivino fino a noi.

Ma oggi sappiamo cosa sta succedendo a Lusail. Ora una piccolissima parte del peso di questa vicenda grava anche sulle nostre spalle. Forse questa volta dovremmo davvero spegnere la televisione e boicottare i mondiali.

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