Scarymad: il racconto di Halloween. Ultimo Capitolo!
Testi: davide.pellegrino | Illustrazioni: martina.acetti
Con passo elegante la sagoma oscura si fece avanti, lasciando intravedere poco a poco i suoi profili. Erano profili di donna, sinuosi ed eterni. D’improvviso si chinò e liberò Giocondo che si divincolò rapido dalle sue braccia. Nell’oscurità il mastro riuscì a scorgere il suo cane corrergli incontro, ma quando fu ad un passo dalle mani del padrone, che già l’aspettava accovacciato al suolo, la bestia si voltò di nuovo verso quella donna, come l’avesse d’improvviso riconosciuta.
Un tintinnio metallico spezzò il silenzio di quello sguardo, Augusto levò gli occhi per osservare davanti a sé. La donna stringeva in una mano un pesante mazzo di chiavi, tutte appese ad un unico anello, e lo faceva ciondolare nel buio come per richiamare la sua attenzione. Il mastro si tirò in piedi mentre Giocondo si mise proprio sotto al palmo della sua mano per ricevere una carezza discreta.
“Augusto” chiamò la donna, ancora nascosta dal nero della notte.
“Amelia” sussurrò tra sé il vecchio mastro con la voce rotta dal pianto.
Armido era il cantastorie di Borgo Precipizio.
Era un moccioso vestito sempre con camicie troppo larghe per la sua esile corporatura, una coppola sgualcita e stivali da maniero in cui i suoi piedi sottili si perdevano. Nel taschino della camicia portava sempre un’armonica a lui tanto cara. Suo nonno gliel’aveva donata quand’era bambino. Lui aveva passato tante notti nella taverna del borgo suonandola per i suoi ospiti, più di cinquant’anni prima. Poi il tempo era passato, sua moglie se n’era andata e lui aveva cominciato a sentirsi vecchio e stanco, così non se l’era più sentita di suonare per la gente della taverna e l’aveva regalata ad Armido, il suo prezioso nipote. Il ragazzo era un sognatore, sempre col mento per aria a guardare le cose del cielo, e laddove nessuno avrebbe visto qualcosa di interessante, lui ce la trovava sempre. Ogni tanto di notte si intrufolava nelle stalle appena fuori dal borgo. Lì suonava la sua armonica seduto sul fieno, guardando per aria e riempiendosi i polmoni dell’odore pungete dello sterco di vacca.
Era un giovane cantastorie e tutti i mocciosi di Borgo Precipizio l’avevano in simpatia perché quando arrivava la Notte degli spettri, come anche quell’anno stava per arrivare, Armido li portava nei campi per raccontare loro le storie dei morti. Quando arrivava sera e la Notte degli spettri stava per cominciare, i mocciosi caricavano di legna asciutta e di torba un paio di carriole. Lasciavano tutti insieme Borgo Precipizio e vagavano tra i campi facendosi luce con una lampada ad olio, cercando il posto adatto per le storie di Armido. Quando lo trovavano accendevano il fuoco, e mentre qualcuno sfilava dalla giacca una bottiglia di liquore alla ruta e un pacco di sigarette, Armido iniziava a suonare la sua armonica come a chiedere silenzio per iniziare il suo racconto.
Quella notte la pianura era quieta e silenziosa e le sue brughiere erano avvolte dalle nebbie. I mocciosi s’erano raccolti in cerchio in un campo vicino alla mulattiera che portava al vecchio faro. Tutta la pianura dormiva e il fuoco acceso dai mocciosi faceva vibrare di rosso l’erba e i loro volti, mentre il mondo tutt’attorno rimaneva prigioniero dall’oscurità. Di tanto in tanto nel silenzio qualcuno di loro deglutiva il liquore, poi faceva una smorfia e passava la bottiglia al compagno accanto. Il profumo della torba si spandeva nell’aria e il fumo si mescolava alla nebbia sottile e agli sbuffi vaporosi dei mocciosi.
Armido suonò la sua armonica e chiese il silenzio, così tutti si tacquero e la storia della Notte degli spettri poté cominciare.
“C’erano una volta un segugio ed il suo vecchio padrone. I due amavano fare lunghe passeggiate per i sentieri delle campagne…Un giorno il segugio stava fiutando l’erba vicino al bordo della scogliera, quando d’improvviso da est soffiò un violento sbuffo di grecale che gli fece perdere l’equilibrio, facendolo così precipitare tra gli scogli più in basso. Il suo padrone, che stava camminando non lontano da lì, affrettò il passo quando non riuscì più a vederlo. Si avvicinò al bordo della scogliera e guardò in basso. La bestia stava come addormentata, sdraiata su di uno scoglio macchiato di rosso. Quel segugio era l’unica cosa rimasta al vecchio dopo che la sua cara moglie era morta, e adesso se n’era andato anche lui. Così il vecchio, travolto da un immenso dolore, decise di saltare giù dalla scogliera per raggiungere il suo segugio e la sua cara moglie”.
Augusto prese il pesante mazzo di chiavi dalla mano di Amelia senza provare ad avvicinarsi oltre, poi si voltò verso le gabbie dalle quali ancora provenivano i lamenti dei prigionieri. Dagli squarci tra le lamiere si poteva intravedere appena l’aurora, ma quando il mastro aprì la prima delle gabbie una luce calda inondò il capanno, guarendo la pelle degli uomini e delle donne rinchiusi lì dentro. Augusto liberò ad uno ad uno tutti i prigionieri che uscirono dalle gabbie con le mani tese sopra gli occhi per fermare l’abbaglio.
D’improvviso un ruggito metallico fece vibrare l’aria. Tutti guardarono in alto tra le lamiere, perché di lì era venuto quel boato. La grande ruota panoramica aveva ripreso a girare e le sue cabine oscillavano a mezz’aria, raggiungendo il cielo con un’ipnotica ascesa.
Augusto e Amelia si avvicinarono e si strinsero in un abbraccio caldo e rassicurante. Il mastro sentì un peso nella tasca della sua camicia, così vi infilò la mano e strinse tra le dita un piccolo oggetto metallico. Un’armonica.
Era passato così tanto tempo da quelle sere d’inverno alla taverna del borgo, quando lui suonava l’armonica e la sua Amelia cantava per gli abitanti della pianura e per i forestieri. Adesso avrebbero potuto cantare insieme di nuovo, con tutto il tempo davanti, proprio come quando erano giovani. Raggiunsero insieme il piazzale del parco mentre un’alba gentile illuminava le brughiere tutt’intorno. Un profumo di burro e di frittelle di mele addolciva l’aria e i nuovi abitanti del parco si diedero subito da fare per rimettere in ordine le vecchie baracche.
Il loro primo giorno in paradiso era appena cominciato.
Durante quella notte di fine ottobre Armido raccontò molte storie come quella dei suoi cari nonni, e i mocciosi bevvero bottiglie intere di liquore alla ruta, aspettando l’alba e scaldandosi le membra stretti attorno al fuoco. Quando il primo sole iniziò a diradare la nebbia e i mocciosi si preparavano a fare ritorno al borgo, Armido indicò una grande ruota panoramica che girava lenta in lontananza, tra le brughiere in direzione del faro. Nessuno di loro l’aveva mai vista prima, e tutti avrebbero giurato che fosse comparsa proprio quella notte grazie ai racconti del miglior cantastorie di Borgo Precipizio.